Educazione: in difesa della cultura classica

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Studiare le materie umanistiche non fa trovare lavoro?

  • 19/11/2016

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Redazione di Educaweb.it

Quante volte, dovendo scegliere gli studi universitari, o anche la scuola superiore, vi siete sentiti dire che studiare le materie umanistiche non serve a trovare lavoro? Che a un certo punto bisogna pur aprire gli occhi e cominciare a guardare al mondo reale? O magari questo motto ha guidato le vostre scelte e un po' turandovi il naso avete preferito degli studi che vi piacevano meno ma che offrivano maggiori opportunità di lavoro...?

È un dilemma per molti, ed è specchio di una cultura in cambiamento e transizione, che cerca di darsi dei punti di riferimento. Da un lato chi vuole modernizzare l'educazione a tutti i costi, dall'altro chi rivendica il valore imprescindibile della solidità delle fondamenta, alla base proprio di quella modernità che vacilla se lasciata in balia di se stessa.

Negli ultimi mesi si sta diffondendo la campagna a difesa del Liceo Classico: una petizione di un gruppo di professoresse fiorentine dello storico liceo Michelangiolo ha già raccolto circa cinquemila firme, e diverse sono quelle di esponenti del mondo culturale e scientifico. Un movimento dunque contro le riforme della scuola che mirano a eliminare lo studio delle culture antiche che sono alla base della nostra civiltà e del nostro modo di pensare e di vedere il mondo. Un movimento contro l'idea che la cultura debba far spazio alle sole scienze, che sarebbero quelle che poi servono a trovare lavoro e a comprendere la modernità. Perché quest'idea, che la scuola debba essere moderna e debba concentrarsi su scienza e tecnologia, è un'idea che perde di vista che cosa veramente la scienza sia, una forma di conoscenza che richiede osservazione, speculazione, capacità critica, sistematizzazione. Si perde di vista che la vera capacità critica si basa su un insieme di informazioni e capacità che nella cultura classica trovano un terreno ideale.

"Non esito a dire che il liceo classico è l'esperimento di pedagogia più geniale e più fruttuoso che un governo occidentale abbia mai messo in piedi: una scuola che fonda principalmente la formazione dell'individuo sullo studio delle lingue antiche, il greco e il latino. Chi esce dal liceo classico – se circostanze slegate dal tipo di studio non si frappongono – […] sa parlare, sa scrivere, sa pensare, ma soprattutto sa interpretare, mettere in rapporto, relativizzare, confrontare, distinguere, riconoscere il duraturo e l'effimero, dare un nome a fatti diversi, capire la libertà, la bellezza, la varietà e la concordia", scrive Nicola Gardini sul Sole24ORE del 28 agosto.

Chi studia le discipline classiche sa interpretare il mondo e sa usare il cervello. Mentre chi studia solo i risultati della scienza, non per questo capisce che cosa la scienza sia, che certo non è semplicemente applicare delle metodologie in un laboratorio o davanti a un computer. Perché distinguere e separare la cultura umanistica e la cultura scientifica non fa bene a nessuno, meno che mai ai giovani che sono in balìa di una mole di informazioni difficile da gestire.

I nativi digitali
E a questo proposito, c'è chi di recente mette finalmente in discussione anche l'abusata definizione di "nativi digitali": Gino Roncaglia, nel libro "Il pregiudizio universale", si domanda "Esistono davvero, i nativi digitali?". E la risposta è "no". Non esiste alcuna differenza antropologica tra chi è nato prima del 1985 e chi è venuto dopo. Esiste però una difficoltà crescente dei giovani a dotarsi degli strumenti critici per orientarsi nel vasto mondo della rete, per non essere semplicemente invasi di informazioni senza collegamenti tra loro, senza la capacità di farne un uso critico, prendendo posizione in un processo di conoscenza e di autodeterminazione.
E allora diciamo sì allo studio intensivo della cultura classica. Perché capire ciò che è alla base della nostra civiltà e del nostro modo di usare il pensiero, è l'esercizio migliore che possiamo augurare (e insegnare) ai più giovani.