Lavoratori laureati e sovraqualificati?

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Un recente studio dell'Università Bocconi di Milano analizza i dati dell'incontro tra mercato del lavoro e titoli di studio dei lavoratori, che risultano spesso troppo qualificati. Ma analizzando anche le competenze reali, al di là dei titoli, si ha qualche sorpresa.

  • 12/12/2016

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Redazione di Educaweb.it

A settembre 2016 sono stati presentati a Milano i risultati della prima edizione dello studio «Employment, Skills and Productivity in Italy», realizzato dall'Università Bocconi di Milano nell'ambito del progetto internazionale «New Skills at Work» di J.P. Morgan, che evidenzia la grande difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro nel mercato italiano.

I dati
Nel 2015 il profilo più avvantaggiato (maschio, 40-44 anni, residente al Nord, laureato) aveva il 50,3% di possibilità di lavorare in più rispetto al profilo più svantaggiato (donna, 20-24 anni, residente al Sud, con licenza media o titolo inferiore). I giovani sono penalizzati, il 20% di loro è disoccupato.

Titolo di studio o competenze?
E' interessante notare che il nucleo dei risultati della ricerca è sembrato essere in un primo momento la mancata corrispondenza tra titoli di studio e mercato del lavoro. Come se in Italia i laureati fossero troppo qualificati per il mercato del lavoro, cosa che si sente spesso dire per giustificare sia la non iscrizione all'università ("tanto la laurea non serve a niente"), sia il non impegnarsi in alcun percorso di formazione o lavoro (i famosi giovani Neet). In realtà lo studio Bocconi-J.P. Morgan evidenzia che quel che non torna è la trasparenza dei titoli di studio: ovvero non è chiaro che cosa si sa fare quando si ha uno specifico titolo di studio. A giudicare solo il titolo di studio, parrebbe che il 76% dei lavoratori sia sovraqualificato e il 79% sottoqualificato, ma se poi si vanno a vedere le reali competenze, le percentuali scendono e tornano nei comuni range del mondo occidentale, rispettivamente del 14% e 9%.

L'overskilling dei laureati in discipline scientifiche
Certo, resta il dato che l'overskilling è più diffuso tra i laureati e soprattutto raggiunge una percentuale molto alta tra i laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (paradossalmente tra quelle che consentono di trovare lavoro più facilmente) "perché la struttura produttiva italiana, a causa della concentrazione nei settori tradizionali e della larga diffusione della piccola impresa, sembra offrire soprattutto impieghi poco qualificati, che non consentono l'utilizzo e il mantenimento delle competenze" (Corriere della Sera, 27 ottobre 2016).

L'importanza delle competenze trasversali
D'altronde, se è vero che la formazione professionale deve fornire competenze tecniche specifiche, è anche vero che per ruoli complessi, soprattutto gestionali e progettuali, o in cui contino l'iniziativa e la visione d'insieme, le competenze in gioco non sono solo tecniche.

Ignazio Visco, Governatore della Banca d'Italia afferma che "Assumeranno sempre più importanza le "competenze": la capacità di mobilitare in maniera integrata risorse interne (saperi, saper fare, atteggiamenti) ed esterne, per far fronte in modo efficace a situazioni spesso inedite, non di routine. Sempre più importanti saranno l'esercizio del pensiero critico, l'attitudine a risolvere i problemi, la creatività, la disponibilità positiva nei confronti dell'innovazione, la capacità di comunicare in modo efficace, l'apertura alla collaborazione. […] Servirà più cultura, e bisognerà superare una buona volta e definitivamente la barriera che da noi separa la cosiddetta cultura 'umanistica', da valorizzare, da quella 'tecnico-scientifica', su cui investire". (AA.VV. Il pregiudizio universale, Laterza 2016).